Folk Bulletin - Antilabé: Folk-Prog senza gabbie

24.04.2017 11:07

 

Abbiamo incontrato gli Antilabè in occasione di una delle serate di selezione dal vivo del concorso Suonare@Folkest, tenutasi a Spilimbergo. Abbiamo rivolto loro alcune domande sul loro progetto musicale e sulla loro attività.

F.B. – Come siete venuti a conoscenza del concorso Suonare@Folkest e per quale motivo, principalmente, avete deciso di partecipare?

Antilabé – Conosciamo Folkest da diversi anni, il nostro bassista ha partecipato anni fa a due edizioni con un altro gruppo e ce ne ha parlato in termini positivi. Sappiamo che in questi ultimi anni per accedere alla fase finale è previsto un concorso con più selezioni ed abbiamo pensato di presentarci soprattutto per far conoscere la nostra musica ed avere più visibilità al di fuori del nostro territorio (provincia di Treviso).

F.B. – Parliamo di voi e della vostra musica: presentatevi specificando i singoli strumenti, il genere, perché lo avete scelto, da cosa traete ispirazione?

Antilabé – Premettendo che intorno alla formazione di base ruotano anche alcuni collaboratori, ecco di seguito i componenti, che sono Graziano Pizzati al pianofortetastiere e composizione dei braniAdolfo Silvestri al basso elettrico e acusticobouzouki e testi dei braniCarla Sossai alla voceLuca Crepet alla batteriapercussionimarimba e vibrafonoLuca Tozzato alla batteria e percussioniMarino Vettoretti alla chitarra elettricaacustica, synth guitar e flauto dolce. Collaborano coin noi Elvira Cadorin alla voce e Piergiorgio Caverzan al sax soprano e clarinetto basso. Per quanto concerne il genere, non amiamo molto le etichette, il nostro motto è musica senza confini, né di spazio, né di tempo… e in effetti le esperienze dei singoli elementi sono confluite all’interno del gruppo e abbiamo cercato di farle coesistere in armonia, creando un suono ricco di contaminazioni provenienti da culture assai diverse. Antilabé è un termine che deriva dal greco antico e ha due significati: nella prima accezione s’intende la figura retorica che individua il cambio di interlocutore all’interno di uno stesso verso; nella seconda si fa riferimento alla doppia impugnatura presente nell’hoplon, lo scudo che usavano i soldati appartenenti alla fanteria pesante al tempo di Atene e Sparta, gli Opliti. Abbiamo scelto questa parola prima di tutto per il suono originale e poi perché abbiamo adottato l’impugnatura come simbolo di sintesi, la rappresentazione ideale di quella ricerca sonora senza confini che ha guidato i nostri interessi fin dall’inizio. Ma la nostra musica è anche un’antilabé multiforme, dove le stesse parole risuonano nell’espressione di più voci così lontane e così vicine.

F.B. – Quali sono i vostri riferimenti musicali?

Antilabé – Qualcuno ha definito la nostra musica una sorta di world-progressive, in realtà c’è un po’ di tutto, dalla musica classica al jazz, dall’etnica al progressive rock, è il nostro modo di esprimerci senza gabbie precostituite. Spaziando fra le armonie e le melodie che contraddistinguono lo spirito universale del nostro tempo, abbiamo provato ad utilizzare le parole liberandole dal loro significato più stretto, ne abbiamo vissuto la fusione con il suono fino a cercare di racchiuderne l’essenza in un pugno pronto ad aprirsi…Dovendo necessariamente fare qualche nome, possiamo citare al volo artisti quali Andreas VollenweiderGentle GiantDebussyTheodorakis, ma la lista di coloro che hanno influenzato la nostra musica sarebbe molto più lunga!

F.B. – Da dove venite e com’è, dalle vostre parti, la situazione della musica dal vivo?

Antilabé – Il nucleo principale degli Antilabé proviene dalla provincia di Treviso, ma abbiamo elementi che arrivano anche da Venezia e zone limitrofe. Per quanto riguarda la musica dal vivo, dalle nostre parti vanno alla grande le tribute band, c’è poco spazio per chi, come noi, propone musica originale. Generalmente siamo costretti a cercare situazioni e location specifiche che sono sempre ben poche e addirittura ci è capitato di essere letteralmente rifiutati da istituzioni che, per antonomasia, dovrebbero essere propositive in ambito culturale.

F.B. – Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale e il territorio di provenienza?

Antilabé – Con la musica tradizionale e il territorio di provenienza esiste un comune denominatore finalizzato al confronto delle stesse emozioni che muovono le azioni di oggi come quelle di ieri, sotto ogni latitudine e longitudine. E’ evidente che in via prioritaria c’è l’interesse per una cultura diversa, per un altrove che può essere disseminato ovunque, in una dimensione spazio-temporale indefinita e infinita… La metafora del viaggio può aiutare a comprendere il nostro approccio: dapprima cauto e rispettoso, caratterizzato da una fase conoscitiva finalizzata ad acquisire una visione d’insieme il più possibile ampia, pian piano si fa strada verso i dettagli, li fa propri fino a fonderli in una lega armonica di suoni e parole che si trasformano pian piano nello stile proprio degli Antilabé.

F.B. – Torniamo a Suonare@Folkest: in attesa di vedervi in concerto nel corso del Festival, dopo la vostra vittoria nelle selezione splimberghese, come vi siete trovati, cosa ricordate soprattutto di quella serata?

Antilabé – Suonare@Folkest ci ha dato modo di sperimentare direttamente lo spirito che dà vita a questa manifestazione, la musica e i suoi attori in primo piano, ognuno con il proprio spazio a disposizione, senza distinzioni. Tutti noi ricordiamo piacevolmente il clima che si era creato in quella serata, la condivisione con gli altri musicisti, lo scambio di esperienze, la voglia di suonare e naturalmente la soddisfazione per essere arrivati primi ed essere stati ammessi alla fase successiva del concorso, che per noi rappresenta un’ulteriore e preziosa opportunità per proporre le nostre composizioni.

F.B. – Che progetti avete in cantiere?

Antilabé – Il progetto che stiamo completando si estrinseca fondamentalmente in due opere, direttamente correlate fra di loro:

  1. la stesura di un romanzo fantasy a sfondo storico;
  2. una suite musicale che s’ispira al romanzo stesso.

Domus Venetkens, due parole che, pur appartenendo a lingue diverse, si fondono in modalità onomatopeica e ci riportano indietro nel tempo, alla ricerca dell’antica Casa dei Veneti. Anche se gli studi più recenti individuano l’appartenenza della popolazione venetica ad una delle tante tribù presenti nell’antica Frigia, il fascino del mito prende le mosse da un passo dell’Iliade (II. II, 851-852) in cui Omero ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo di Paflagoni, guidati da Pilemene. Un destino ancora attuale, fuggire dalla guerra alla volta di una terra promessa non ben definita, allocata in un altrove che al tempo stesso è tutto e niente. L’allontanamento dalla patria perduta si concretizza così in un alternarsi fra i poli emozionali dell’esilio e della scoperta, inseguendo un equilibrio che sembra trovare soddisfazione solamente nel ritorno alle origini, in un viaggio fantastico che ripercorre a ritroso le tappe di chi, secoli prima, aveva scelto coraggiosamente di andare incontro all’ignoto.

 

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